Nella nostra rivisitazione della stagione 2013 reparto per reparto abbiamo volutamente lasciato per ultimo il quarterback, vuoi perché l’infortunio subito da Bradford a metà stagione ha giocoforza condizionato il rendimento del reparto (non necessariamente in negativo, come vedremo), sia perché la controversia sul numero 8 è piuttosto accesa tra chi lo supporta e chi non lo sopporta. Chi ha ragione tra le due fazioni lo stabilirà solo il tempo, per il momento prendiamo atto che è il quarterback titolare e lo sarà anche per almeno la prossima stagione.
Siamo ancora qui a parlare dell’ormai celeberrimo e maledetto inizio stagione, con quelle quattro partite in cui tutti i sogni e le speranze riposte nella stagione 2013 si sono inevitabilmente infranti.
Come abbiamo già avuto modo di analizzare, soprattutto per l’attacco le responsabilità dell’avvio disastroso sono da ripartirsi tra diverse componenti. Analizzate quella del gioco di corsa, dei ricevitori dalle mani molli e del playcalling a dir poco sospetto, resta da analizzare la parte di responsabilità di Bradford.
E’ vero, i ricevitori correvano tracce astruse. E’ vero, erano sempre coperti perché senza un gioco di corsa credibile gli avversari droppavano in copertura anche sette uomini. E’ vero, la protezione della linea nelle prime partite non è certo stata ottimale. E’ vero, i ricevitori hanno droppato un numero di palloni inverosimile. E non dobbiamo dimenticarci le penalità che costringevano l’attacco a giocare situazioni assurde con terzi, ma anche secondi e primi down lunghissimi. Nella sua stagione i esordio Bradford aveva ben impressionato per la sua glaciale freddezza nella tasca quando, incurante della pressione, rilasciava il pallone all’ultimo momento possibile. Dopo essere stato selvaggiamente picchiato per tutta la seconda stagione (fino all’infortunio che lo ha messo definitivamente KO), Bradford ha mostrato di aver perso un po’ di quella freddezza, ed il risultato si è visto all’inizio di quest’anno, quando si è mangiato troppi palloni rinunciando troppo presto a cercare una soluzione o quando ha fatto ricorso al cosiddetto “checkdown”, cioè il lancio al ricevitore/runner più vicino come valvola di sicurezza, senza aspettare lo sviluppo delle traiettorie dei propri ricevitori. Molti (la stragrande maggioranza) di questi checkdown erano assolutamente motivati dalle coperture sui ricevitori o dall’imminente collassamento della tasca, ma quelli affrettati sono comunque stati troppo numerosi.
Dalla quinta partita in poi si è finalmente visto quello che Bradford potrebbe e dovrebbe rappresentare per il futuro della franchigia. Un quarterback che probabilmente non è in grado di elevare la qualità dei giocatori che lo circondano come potrebbe fare un Rodgers o un Brees, ma che è assolutamente in grado di commettere pochi errori e guidare la squadra anche quando si è sotto con il punteggio. Probabilmente manca di leadership in huddle ed in panchina, ma sicuramente in campo è capace di trascinare kla squadra anche nei momenti difficili, senza disdegnare di portare palla (nonostante la sua atleticità non sia proprio il massimo della vita, né a vedere né come risultato finale).
Con un anno in più per i ricevitori (e finalmente Bailey sdoganato dalla panchina), nel 2014 Bradford dovrebbe finalmente essere in grado di mostrare le sue qualità. Che non saranno quelle del nuovo Bart Starr o Dan Marino o altri grandi pocket passer del passato, questo ormai sembra essere chiaro a tutti, ma che gli consentiranno certamente di restare tra i top 10-15 quarterback della lega come era quest’anno prima dell’infortunio.
A proposito di infortunio, passiamo al vero protagonista di quest’anno: Kellen Clemens. Alzi la mano chi, dopo la partita con Carolina, non ha pensato “con questo dietro al centro se tutto va bene vinciamo al massimo un’altra partita”. Ed invece di partite Clemens ne ha portate a casa ben quattro, arrivando ad un soffio dalla stagione pari e piazzando qua e là alcune gemme come il Monday Night contro Seattle in cui i Seahawks hanno rischiato grosso fino all’ultimo secondo.
Clemens ha dimostrato di essere un quarterback pronto a subentrare ed a svolgere il proprio lavoro senza problemi, pur con tutti i suoi limiti (non per nulla è un backup e non uno starter), ma quello che ha sorpreso tutti è stato lo spirito con cui si è calato nel ruolo di leader della squadra, ruolo che, come detto in precedenza, mal si addice a Bradford.
Grazie a questa stagione positiva Clemens ha trovato casa a San Diego, a reggere la cartellina di Philip Rivers con un contratto molto più remunerativo di quello che poteva trovare a St.Louis. E’ giusto così: lo ringraziamo per la stagione e gli permettiamo di monetizzare l’ottimo rendimento del 2013, anche perché ormai sembra chiaro che, oltre all’acquisizione di Shaun Hill, il front office punterà su un quarterback giovane da crescere nel caso Bradford non fosse più il totem insostituibile di oggi (che sia per scelta tecnica, monetaria o legata a nuovi infortuni o mancato recupero da quello attuale).
La gestione del reparto quarterback da parte del front office è stata rischiosa, con la scelta di tenere solo due QB a roster, soprattutto quando, nella seconda parte della stagione, un eventuale infortunio a Clemens avrebbe potuto essere devastante. La buona sorte ha dato una mano alla coppia Baffo e Ciuffo, ma questa situazione on dovrà più ripetersi nella prossima stagione.
Resta da prendere nota anche della parte ridicola, per quanto riguarda i quarterback dei Rams nel 2013. Una volta infortunato Bradford, è stato chiaramente richiamato Austin Davis, tagliato all’ultimo giorno di camp a Settembre, ma è anche stato messo sotto contratto Brady Quinn. Già l’acquisizione lasciava perplessi, ma dopo aver saputo che Quinn si è infortunato al primo allenamento durante un drill senza contatto ed è stato messo in injured reserve senza aver nemmeno avuto la possibilità di lottare per il posto da terzo qb, è veramente lo specchio di una stagione davvero poco fortunata per questo ruolo.
Ed abbiamo deliberatamente scelto di non parlare dell’affaire “Brett Favre”…
Siamo ancora qui a parlare dell’ormai celeberrimo e maledetto inizio stagione, con quelle quattro partite in cui tutti i sogni e le speranze riposte nella stagione 2013 si sono inevitabilmente infranti.
Come abbiamo già avuto modo di analizzare, soprattutto per l’attacco le responsabilità dell’avvio disastroso sono da ripartirsi tra diverse componenti. Analizzate quella del gioco di corsa, dei ricevitori dalle mani molli e del playcalling a dir poco sospetto, resta da analizzare la parte di responsabilità di Bradford.
E’ vero, i ricevitori correvano tracce astruse. E’ vero, erano sempre coperti perché senza un gioco di corsa credibile gli avversari droppavano in copertura anche sette uomini. E’ vero, la protezione della linea nelle prime partite non è certo stata ottimale. E’ vero, i ricevitori hanno droppato un numero di palloni inverosimile. E non dobbiamo dimenticarci le penalità che costringevano l’attacco a giocare situazioni assurde con terzi, ma anche secondi e primi down lunghissimi. Nella sua stagione i esordio Bradford aveva ben impressionato per la sua glaciale freddezza nella tasca quando, incurante della pressione, rilasciava il pallone all’ultimo momento possibile. Dopo essere stato selvaggiamente picchiato per tutta la seconda stagione (fino all’infortunio che lo ha messo definitivamente KO), Bradford ha mostrato di aver perso un po’ di quella freddezza, ed il risultato si è visto all’inizio di quest’anno, quando si è mangiato troppi palloni rinunciando troppo presto a cercare una soluzione o quando ha fatto ricorso al cosiddetto “checkdown”, cioè il lancio al ricevitore/runner più vicino come valvola di sicurezza, senza aspettare lo sviluppo delle traiettorie dei propri ricevitori. Molti (la stragrande maggioranza) di questi checkdown erano assolutamente motivati dalle coperture sui ricevitori o dall’imminente collassamento della tasca, ma quelli affrettati sono comunque stati troppo numerosi.
Dalla quinta partita in poi si è finalmente visto quello che Bradford potrebbe e dovrebbe rappresentare per il futuro della franchigia. Un quarterback che probabilmente non è in grado di elevare la qualità dei giocatori che lo circondano come potrebbe fare un Rodgers o un Brees, ma che è assolutamente in grado di commettere pochi errori e guidare la squadra anche quando si è sotto con il punteggio. Probabilmente manca di leadership in huddle ed in panchina, ma sicuramente in campo è capace di trascinare kla squadra anche nei momenti difficili, senza disdegnare di portare palla (nonostante la sua atleticità non sia proprio il massimo della vita, né a vedere né come risultato finale).
Con un anno in più per i ricevitori (e finalmente Bailey sdoganato dalla panchina), nel 2014 Bradford dovrebbe finalmente essere in grado di mostrare le sue qualità. Che non saranno quelle del nuovo Bart Starr o Dan Marino o altri grandi pocket passer del passato, questo ormai sembra essere chiaro a tutti, ma che gli consentiranno certamente di restare tra i top 10-15 quarterback della lega come era quest’anno prima dell’infortunio.
A proposito di infortunio, passiamo al vero protagonista di quest’anno: Kellen Clemens. Alzi la mano chi, dopo la partita con Carolina, non ha pensato “con questo dietro al centro se tutto va bene vinciamo al massimo un’altra partita”. Ed invece di partite Clemens ne ha portate a casa ben quattro, arrivando ad un soffio dalla stagione pari e piazzando qua e là alcune gemme come il Monday Night contro Seattle in cui i Seahawks hanno rischiato grosso fino all’ultimo secondo.
Clemens ha dimostrato di essere un quarterback pronto a subentrare ed a svolgere il proprio lavoro senza problemi, pur con tutti i suoi limiti (non per nulla è un backup e non uno starter), ma quello che ha sorpreso tutti è stato lo spirito con cui si è calato nel ruolo di leader della squadra, ruolo che, come detto in precedenza, mal si addice a Bradford.
Grazie a questa stagione positiva Clemens ha trovato casa a San Diego, a reggere la cartellina di Philip Rivers con un contratto molto più remunerativo di quello che poteva trovare a St.Louis. E’ giusto così: lo ringraziamo per la stagione e gli permettiamo di monetizzare l’ottimo rendimento del 2013, anche perché ormai sembra chiaro che, oltre all’acquisizione di Shaun Hill, il front office punterà su un quarterback giovane da crescere nel caso Bradford non fosse più il totem insostituibile di oggi (che sia per scelta tecnica, monetaria o legata a nuovi infortuni o mancato recupero da quello attuale).
La gestione del reparto quarterback da parte del front office è stata rischiosa, con la scelta di tenere solo due QB a roster, soprattutto quando, nella seconda parte della stagione, un eventuale infortunio a Clemens avrebbe potuto essere devastante. La buona sorte ha dato una mano alla coppia Baffo e Ciuffo, ma questa situazione on dovrà più ripetersi nella prossima stagione.
Resta da prendere nota anche della parte ridicola, per quanto riguarda i quarterback dei Rams nel 2013. Una volta infortunato Bradford, è stato chiaramente richiamato Austin Davis, tagliato all’ultimo giorno di camp a Settembre, ma è anche stato messo sotto contratto Brady Quinn. Già l’acquisizione lasciava perplessi, ma dopo aver saputo che Quinn si è infortunato al primo allenamento durante un drill senza contatto ed è stato messo in injured reserve senza aver nemmeno avuto la possibilità di lottare per il posto da terzo qb, è veramente lo specchio di una stagione davvero poco fortunata per questo ruolo.
Ed abbiamo deliberatamente scelto di non parlare dell’affaire “Brett Favre”…