Jared Goff non è un minorato mentale. Alleluja! Dopo la prima partita del “first pick overall” al draft 2016, possiamo scartare questa triste ipotesi. Questo perché Fisher e co., in questi mesi ci hanno parlato di lui come se fosse un prodigio della natura però un po’ indietro con lo sviluppo mentale, sfortunato, che seguiva un corso di recupero serale per rimettersi in pari con gli altri.
Oggi sappiamo che non è così. Alleluja ancora una volta.
La partita contro i Miami Dolphins è stata una di quelle che noi tifosi Rams non dimenticheremo facilmente, seppure provassimo a fare delle sedute di ipnosi regressiva. Quando hai un attacco sterile che ha messo su solo 10 punti, la tua unica speranza è avere una difesa che tenga gli avversari lontani da quella cifra. La nostra difesa è talmente dominante che li ha tenuti a 10 punti di distacco. Solo perché non potevano mandarli sotto lo zero nel tabellino, altrimenti lo avrebbero fatto.
Facciamo un salto temporale che sembra anche un salto dimensionale: sette minuti, dalla fine della partita. Dolphins disperati, oramai non possono certo sperare di fare granché, si accontenterebbero di mettere a segno un field goal tanto per non finire nel baratro dello “shutdown”. Il nostro attacco è in campo e per la prima volta sembra aver trovato, seppure tra gli errori e le difficoltà, un ritmo.
Nel drive precedente una stupidissima penalità di Greg Robinson aveva disintegrato il guadagno di una quindicina di iarde che Goff si era conquistanto correndo sull’esterno. Ma adesso siamo già sulle 30 avversarie.
Abbiamo fatto davvero un buon drive ed ora, a 7 minuti dalla fine, c’ è da convertire un quarto tentativo e una sola iarda da conquistare.
Anche il telecronista della Fox è sicuro che i Rams tenteranno: mancano solo sette minuti, l’attacco gira, una iarda non è impossibile da guadagnare anche perché la difesa dei Dolphins non sta più giocando “alla morte”. In fondo se sbagli, lasci la palla sulle loro trenta. Non quindi in una posizione molto pericolosa. Ma se lo converti, controllerai l’orologio ancora per un po’, ti avvicinerai alla endzone per un possibile TD e sicuramente entrerai in una zona di campo da dove un possibile FG potrebbe essere trasformato senza troppi patemi.
A 6.45 dalla fine, Fisher si prende un time out per pensarci su. Il gelo percorre la schiena del qui scrivente che chiede lumi in merito ad amici di provata ramsiana fede. Mi rassicurano: “trasformiamo il field goal e la chiudiamo qui. Meglio non dare occasioni agli avversari sul finale”.
Zuerlein calcia bene e noto subito che attaccate a quella palla che volava c’erano un sacco di cose: in primis, le speranze di 22 uomini, forse più, che erano un po’ stanchi di dare e prendere botte da quasi due ore, ma c’erano anche tutte le certezze di una certa mentalità offensiva, e proprio sulla punta del pallone, il destino del nostro Jeff Fisher. Per questo ha preso un time out per pensarci.
Nella sua testa c’era uno scontro tra quello che avrebbe dovuto fare e quello che lui sentiva profondamente di dover fare. Quello che tutti intorno a lui avrebbero voluto e la sua vocina interiore che lo guida da sempre. Alla fine, Jeff ha seguito ciò che conosce meglio: la vocina.
Guardando la traiettoria della palla calciata da Greg “The leg”, Fisher stava già gongolando perché, si dice tra sé, ancora una volta quella vocina ha avuto ragione: “Meglio un uovo oggi che una gallina domani Jeff!”. Il fatto è che la gallina, l’uovo, e tutto il pollaio si sono sfracellati contro il palo interno della porta.
No good!
La depressione è esplosa come una bomba nel cielo di Los Angeles. Avevamo ancora dieci punti di vantaggio, in fondo si trattava solo di lasciare che la difesa facesse il suo lavoro. Do your job! Lo dice anche Belichick, sarà vero.
Per una legge universale ciò che distrugge qualcosa in realtà crea qualcos’altro: infatti si rigenera la voglia dei Dolphins di provarci ancora. In fondo è ancora tutto lì sulla linea di scrimmage.
Quello che succede dopo lo sintetizzerò perché è qualcosa di doloroso per un tifoso dei Rams: due drive vincenti di Miami che si porta a 14 punti e la vittoria. Dall’altra parte, l’incapacità, coerente con il resto della partita, di mettere a segno punti da parte del nostro attacco. Nello specifico la vergogna ricadrebbe sulla difesa visto che si è lasciata massacrare da un attacco che non era sembrato certo stellare fino a quel momento. Nel drive del secondo TD di Miami, addirittura metà del campo glielo ha concesso la nostra difesa a suon di stupide penalità.
Vogliamo per questa volta rimproverare loro e lasciare all’attacco un po’ di tregua? No.
La difesa ha fatto una partita super, ma di tanto in tanto avrebbero bisogno di stare un po’ in sideline a respirare e, dal punto di vista mentale, ogni tanto gradirebbero non avere il compito arduo di non sbagliare nulla.
Non si può costringere regolarmente una difesa a non sbagliare mai nulla perché i margini sono sempre minimi. E’ una pressione mentale e fisica che una difesa non può reggere per tutta una stagione. Ecco che affiora quella mentalità offensiva che era attaccata al pallone calciato da Zuerlein.
Fisher concepisce l’attacco come “quell’altra squadra che non deve fare puttanate mentre la difesa riprende respiro”. Ed è stato questo il nostro game plan. Nient’altro.
Infatti Fisher nella conferenza stampa post partita si dice soddisfatto di Goff perché non ha fatto “delays”. Giusto. L’ho notato anche io che ha una buona cadenza e che faceva “hard count” ben fatti senza sbagliare mai.
Ma se la prima cosa che dici del tuo QB, esordiente, per cui hai venduto l’anima al draft, che ha giocato davvero una buona prima gara, è che non ha fatto puttanate al “count”, risulta chiarissima a tutti la tua mentalità.
Il fatto che questo ragazzo, che è sembrato molto più sicuro ed a suo agio di quello che ci aspettavamo, ha delle potenzialità notevoli nel suo braccio poteva anche spingere un Head Coach a chiedergli di allungare un po’ il gioco o di fare letture leggermente più approfondite. Almeno nel secondo tempo.
Avevamo dieci punti di vantaggio, il ragazzo si comportava bene, perché no? Già il fatto di essere in campo lui al posto di Keenum aveva tolto tanta pressione a Gurley, ed infatti Gurley ha segnato ed ha corso bene quando gli si sono aperti dei pertugi.
Di Keenum non aveva paura nessuno, invece Goff, non essendo ancora conosciuto, gode del beneficio del dubbio. Ma ovviamente la vocina di Jeff gli ha suggerito sempre la stessa cosa: “non rischiare!”. Ed il ragazzo da Cal è sembrato giocare in stile automa: “faccio solo quello che mi hanno detto di fare”. Niente improvvisazioni, niente stranezze e non guardare nemmeno al di là delle 10 yard.
Il braccione di Goff, noto per essere preciso e potente, per adesso serve solo per lanciare palle da distanze contenute.
Non amo i paralleli con il calcio ma è come svenarsi per prendere un fantasista con le potenzialità da fenomeno per fargli battere solo i calci d’angolo.
Ma la gestione di Goff è solo uno degli aspetti, rivelatori, che mi preme sottolineare. La paura di Fisher, che lo avvolge come il più stretto dei mantelli che si possa immaginare, è così radicata e potente che il povero Jeff non può che soccombere ogni volta. La vocina ha sempre la meglio.
Come ad una mamma che gli grida continuamente di mettere la sciarpa perché fuori è freddo, o di non allontanarsi troppo da casa, Fisher è costretto a rispondere sempre “sì mamma”. Brontola un po’ nel suo intimo, ma segue il “consiglio”.
Non è davvero un consiglio, più che altro un’imposizione ma la mamma non si critica. E’ la mamma! La parte triste ed ironica al contempo, è che la sua paura di perdere, così radicata da diventare una seconda natura per Jeff, si trasforma in una assurda paura di vincere, ed il risultato, in una lega così competitiva e sfrontata è che Fisher perde. Già, perché alle altre squadre non frega nulla di perdere: provano a vincere, se poi perdono pazienza.
L’HC dei Los Angeles Rams invece preferisce un approccio diverso: prova a non perdere e alla fine perde. Per me è difficile scrivere queste cose per un personaggio, ed una persona, che ho stimato molto.
Ho sempre creduto che chi ha molta esperienza nel football, ma non solo, possa davvero trasmettere moltissimo ai ragazzi. Fisher lo fa e lo fa bene, ma purtroppo trasmette anche la sua paura.
Io non credo che il nostro roster sia poco talentuoso, anzi.
Credo semplicemente che la mentalità del coach si sia trasferita nei ragazzi che vivono nel terrore di osare, di sbagliare e che sono spaventati da ciò che è fuori dallo stile del loro mentore.
Adesso come adesso neppure se avessimo Tom Brady, Gronkowski, e Antonio Brown, riusciremmo a mettere sul tabellino più di due TD. I Wr hanno timore di correre cercando anche separazioni minime dal difensore che li segue, il Qb ha paura di cercarli, i TE sono preoccupati dal proteggere il Qb, gli uomini di linea temono di sbagliare qualcosa, di non vedere, di non capire… e finisce proprio così. Manca autostima.
Chi dice che Gurley non sa leggere i blocchi sbaglia.
Chi dice che ci mancano target, sbaglia.
Chi dice che la nostra linea è un colabrodo, sbaglia.
Chi dice che non abbiamo un QB sbaglia.
Goff credo sia il nostro uomo, ed è giusto puntare su di lui. Gurley è un signor RB che in NFL può diventare dominante più di quanto lo è stato lo scorso anno, senza molta difficoltà. La linea ha bisogno di liberarsi di Greg Robinson, almeno come LT, e di andare avanti. Magari con un nuovo OL coach: il pesce puzza dalla testa. Gli Wr ci sono, sono pochi, e sembrano spaventati dalla loro stessa ombra, ma non manca certo il talento e le doti fisiche; probabilmente servirebbe un altro rinforzo ma non è un reparto scadente.
Un approccio mentale sempre così conservatore imprigiona i ragazzi.
Ecco perché Tavon Austin è praticamente sparito: lui è tutto istinto e senso del momento, decide il da farsi in un microsecondo. Per sfruttarlo a pieno ci vorrebbe un QB che gli gioca la palla prima di subito, che non ha paura, e di un OC che disegni per lui tracce medio-lunghe, pulite da altri Wr. Lasciandolo libero di correre con la palla e senza palla.
Il ragionamento è semplice: corre più veloce di chiunque altro? Fatelo correre allora!
Quick è un frick atletico che crea mismatch? Usatelo in tutte quelle situazioni che possano agevolarlo, nel underneath, nel lungo, ovunque vogliate, ma fatelo giocare.
Britt riesce a prendere palloni lanciati da chiunque e sa conquistare un sacco di yard dopo la presa? Cerchiamolo di continuo e usiamolo per liberare Austin.
Se giochi così, la linea offensiva sarà più scarica di avversari e potrà bloccare meglio per Gurley, che se ha spazio diventa devastante. Devastante.
Se Gurley inizia a correre come se non ci fosse un domani, la difesa sarà costretta a lasciare spazi agli WR, e lascerà qualche cattivo accoppiamento in marcatura… la coperta corta. Chiamatela come volete.
Il concetto è semplice, realizzarlo tutt’altra cosa. Non per niente a me non danno un Euro bucato, a Fisher 7 milioni di dollari. Infatti lui di football ne sa molto, io niente.
Il problema non sono le sue conoscenze, ma la sua paura! Il suo atteggiamento.
Ci fa sentire sempre come una squadra di sfortunati che per vincere ha bisogno sempre del miracolo, dell’evento leggendario.
No, non siamo una squadra di disagiati, noi siamo una squadra che ha abbastanza talento da permettersi senza problemi i playoff, e se cambiamo mentalità e manteniamo questa difesa, con l’ottimo Gregg Williams, non avremo nessun problema a raggiungere tutti i nostri obiettivi.
Il prossimo anno ovviamente. Ancora una volta il prossimo anno.
Dobbiamo solo liberarci della paura e la paura, in questo caso, ha un nome ed un cognome.
Oggi sappiamo che non è così. Alleluja ancora una volta.
La partita contro i Miami Dolphins è stata una di quelle che noi tifosi Rams non dimenticheremo facilmente, seppure provassimo a fare delle sedute di ipnosi regressiva. Quando hai un attacco sterile che ha messo su solo 10 punti, la tua unica speranza è avere una difesa che tenga gli avversari lontani da quella cifra. La nostra difesa è talmente dominante che li ha tenuti a 10 punti di distacco. Solo perché non potevano mandarli sotto lo zero nel tabellino, altrimenti lo avrebbero fatto.
Facciamo un salto temporale che sembra anche un salto dimensionale: sette minuti, dalla fine della partita. Dolphins disperati, oramai non possono certo sperare di fare granché, si accontenterebbero di mettere a segno un field goal tanto per non finire nel baratro dello “shutdown”. Il nostro attacco è in campo e per la prima volta sembra aver trovato, seppure tra gli errori e le difficoltà, un ritmo.
Nel drive precedente una stupidissima penalità di Greg Robinson aveva disintegrato il guadagno di una quindicina di iarde che Goff si era conquistanto correndo sull’esterno. Ma adesso siamo già sulle 30 avversarie.
Abbiamo fatto davvero un buon drive ed ora, a 7 minuti dalla fine, c’ è da convertire un quarto tentativo e una sola iarda da conquistare.
Anche il telecronista della Fox è sicuro che i Rams tenteranno: mancano solo sette minuti, l’attacco gira, una iarda non è impossibile da guadagnare anche perché la difesa dei Dolphins non sta più giocando “alla morte”. In fondo se sbagli, lasci la palla sulle loro trenta. Non quindi in una posizione molto pericolosa. Ma se lo converti, controllerai l’orologio ancora per un po’, ti avvicinerai alla endzone per un possibile TD e sicuramente entrerai in una zona di campo da dove un possibile FG potrebbe essere trasformato senza troppi patemi.
A 6.45 dalla fine, Fisher si prende un time out per pensarci su. Il gelo percorre la schiena del qui scrivente che chiede lumi in merito ad amici di provata ramsiana fede. Mi rassicurano: “trasformiamo il field goal e la chiudiamo qui. Meglio non dare occasioni agli avversari sul finale”.
Zuerlein calcia bene e noto subito che attaccate a quella palla che volava c’erano un sacco di cose: in primis, le speranze di 22 uomini, forse più, che erano un po’ stanchi di dare e prendere botte da quasi due ore, ma c’erano anche tutte le certezze di una certa mentalità offensiva, e proprio sulla punta del pallone, il destino del nostro Jeff Fisher. Per questo ha preso un time out per pensarci.
Nella sua testa c’era uno scontro tra quello che avrebbe dovuto fare e quello che lui sentiva profondamente di dover fare. Quello che tutti intorno a lui avrebbero voluto e la sua vocina interiore che lo guida da sempre. Alla fine, Jeff ha seguito ciò che conosce meglio: la vocina.
Guardando la traiettoria della palla calciata da Greg “The leg”, Fisher stava già gongolando perché, si dice tra sé, ancora una volta quella vocina ha avuto ragione: “Meglio un uovo oggi che una gallina domani Jeff!”. Il fatto è che la gallina, l’uovo, e tutto il pollaio si sono sfracellati contro il palo interno della porta.
No good!
La depressione è esplosa come una bomba nel cielo di Los Angeles. Avevamo ancora dieci punti di vantaggio, in fondo si trattava solo di lasciare che la difesa facesse il suo lavoro. Do your job! Lo dice anche Belichick, sarà vero.
Per una legge universale ciò che distrugge qualcosa in realtà crea qualcos’altro: infatti si rigenera la voglia dei Dolphins di provarci ancora. In fondo è ancora tutto lì sulla linea di scrimmage.
Quello che succede dopo lo sintetizzerò perché è qualcosa di doloroso per un tifoso dei Rams: due drive vincenti di Miami che si porta a 14 punti e la vittoria. Dall’altra parte, l’incapacità, coerente con il resto della partita, di mettere a segno punti da parte del nostro attacco. Nello specifico la vergogna ricadrebbe sulla difesa visto che si è lasciata massacrare da un attacco che non era sembrato certo stellare fino a quel momento. Nel drive del secondo TD di Miami, addirittura metà del campo glielo ha concesso la nostra difesa a suon di stupide penalità.
Vogliamo per questa volta rimproverare loro e lasciare all’attacco un po’ di tregua? No.
La difesa ha fatto una partita super, ma di tanto in tanto avrebbero bisogno di stare un po’ in sideline a respirare e, dal punto di vista mentale, ogni tanto gradirebbero non avere il compito arduo di non sbagliare nulla.
Non si può costringere regolarmente una difesa a non sbagliare mai nulla perché i margini sono sempre minimi. E’ una pressione mentale e fisica che una difesa non può reggere per tutta una stagione. Ecco che affiora quella mentalità offensiva che era attaccata al pallone calciato da Zuerlein.
Fisher concepisce l’attacco come “quell’altra squadra che non deve fare puttanate mentre la difesa riprende respiro”. Ed è stato questo il nostro game plan. Nient’altro.
Infatti Fisher nella conferenza stampa post partita si dice soddisfatto di Goff perché non ha fatto “delays”. Giusto. L’ho notato anche io che ha una buona cadenza e che faceva “hard count” ben fatti senza sbagliare mai.
Ma se la prima cosa che dici del tuo QB, esordiente, per cui hai venduto l’anima al draft, che ha giocato davvero una buona prima gara, è che non ha fatto puttanate al “count”, risulta chiarissima a tutti la tua mentalità.
Il fatto che questo ragazzo, che è sembrato molto più sicuro ed a suo agio di quello che ci aspettavamo, ha delle potenzialità notevoli nel suo braccio poteva anche spingere un Head Coach a chiedergli di allungare un po’ il gioco o di fare letture leggermente più approfondite. Almeno nel secondo tempo.
Avevamo dieci punti di vantaggio, il ragazzo si comportava bene, perché no? Già il fatto di essere in campo lui al posto di Keenum aveva tolto tanta pressione a Gurley, ed infatti Gurley ha segnato ed ha corso bene quando gli si sono aperti dei pertugi.
Di Keenum non aveva paura nessuno, invece Goff, non essendo ancora conosciuto, gode del beneficio del dubbio. Ma ovviamente la vocina di Jeff gli ha suggerito sempre la stessa cosa: “non rischiare!”. Ed il ragazzo da Cal è sembrato giocare in stile automa: “faccio solo quello che mi hanno detto di fare”. Niente improvvisazioni, niente stranezze e non guardare nemmeno al di là delle 10 yard.
Il braccione di Goff, noto per essere preciso e potente, per adesso serve solo per lanciare palle da distanze contenute.
Non amo i paralleli con il calcio ma è come svenarsi per prendere un fantasista con le potenzialità da fenomeno per fargli battere solo i calci d’angolo.
Ma la gestione di Goff è solo uno degli aspetti, rivelatori, che mi preme sottolineare. La paura di Fisher, che lo avvolge come il più stretto dei mantelli che si possa immaginare, è così radicata e potente che il povero Jeff non può che soccombere ogni volta. La vocina ha sempre la meglio.
Come ad una mamma che gli grida continuamente di mettere la sciarpa perché fuori è freddo, o di non allontanarsi troppo da casa, Fisher è costretto a rispondere sempre “sì mamma”. Brontola un po’ nel suo intimo, ma segue il “consiglio”.
Non è davvero un consiglio, più che altro un’imposizione ma la mamma non si critica. E’ la mamma! La parte triste ed ironica al contempo, è che la sua paura di perdere, così radicata da diventare una seconda natura per Jeff, si trasforma in una assurda paura di vincere, ed il risultato, in una lega così competitiva e sfrontata è che Fisher perde. Già, perché alle altre squadre non frega nulla di perdere: provano a vincere, se poi perdono pazienza.
L’HC dei Los Angeles Rams invece preferisce un approccio diverso: prova a non perdere e alla fine perde. Per me è difficile scrivere queste cose per un personaggio, ed una persona, che ho stimato molto.
Ho sempre creduto che chi ha molta esperienza nel football, ma non solo, possa davvero trasmettere moltissimo ai ragazzi. Fisher lo fa e lo fa bene, ma purtroppo trasmette anche la sua paura.
Io non credo che il nostro roster sia poco talentuoso, anzi.
Credo semplicemente che la mentalità del coach si sia trasferita nei ragazzi che vivono nel terrore di osare, di sbagliare e che sono spaventati da ciò che è fuori dallo stile del loro mentore.
Adesso come adesso neppure se avessimo Tom Brady, Gronkowski, e Antonio Brown, riusciremmo a mettere sul tabellino più di due TD. I Wr hanno timore di correre cercando anche separazioni minime dal difensore che li segue, il Qb ha paura di cercarli, i TE sono preoccupati dal proteggere il Qb, gli uomini di linea temono di sbagliare qualcosa, di non vedere, di non capire… e finisce proprio così. Manca autostima.
Chi dice che Gurley non sa leggere i blocchi sbaglia.
Chi dice che ci mancano target, sbaglia.
Chi dice che la nostra linea è un colabrodo, sbaglia.
Chi dice che non abbiamo un QB sbaglia.
Goff credo sia il nostro uomo, ed è giusto puntare su di lui. Gurley è un signor RB che in NFL può diventare dominante più di quanto lo è stato lo scorso anno, senza molta difficoltà. La linea ha bisogno di liberarsi di Greg Robinson, almeno come LT, e di andare avanti. Magari con un nuovo OL coach: il pesce puzza dalla testa. Gli Wr ci sono, sono pochi, e sembrano spaventati dalla loro stessa ombra, ma non manca certo il talento e le doti fisiche; probabilmente servirebbe un altro rinforzo ma non è un reparto scadente.
Un approccio mentale sempre così conservatore imprigiona i ragazzi.
Ecco perché Tavon Austin è praticamente sparito: lui è tutto istinto e senso del momento, decide il da farsi in un microsecondo. Per sfruttarlo a pieno ci vorrebbe un QB che gli gioca la palla prima di subito, che non ha paura, e di un OC che disegni per lui tracce medio-lunghe, pulite da altri Wr. Lasciandolo libero di correre con la palla e senza palla.
Il ragionamento è semplice: corre più veloce di chiunque altro? Fatelo correre allora!
Quick è un frick atletico che crea mismatch? Usatelo in tutte quelle situazioni che possano agevolarlo, nel underneath, nel lungo, ovunque vogliate, ma fatelo giocare.
Britt riesce a prendere palloni lanciati da chiunque e sa conquistare un sacco di yard dopo la presa? Cerchiamolo di continuo e usiamolo per liberare Austin.
Se giochi così, la linea offensiva sarà più scarica di avversari e potrà bloccare meglio per Gurley, che se ha spazio diventa devastante. Devastante.
Se Gurley inizia a correre come se non ci fosse un domani, la difesa sarà costretta a lasciare spazi agli WR, e lascerà qualche cattivo accoppiamento in marcatura… la coperta corta. Chiamatela come volete.
Il concetto è semplice, realizzarlo tutt’altra cosa. Non per niente a me non danno un Euro bucato, a Fisher 7 milioni di dollari. Infatti lui di football ne sa molto, io niente.
Il problema non sono le sue conoscenze, ma la sua paura! Il suo atteggiamento.
Ci fa sentire sempre come una squadra di sfortunati che per vincere ha bisogno sempre del miracolo, dell’evento leggendario.
No, non siamo una squadra di disagiati, noi siamo una squadra che ha abbastanza talento da permettersi senza problemi i playoff, e se cambiamo mentalità e manteniamo questa difesa, con l’ottimo Gregg Williams, non avremo nessun problema a raggiungere tutti i nostri obiettivi.
Il prossimo anno ovviamente. Ancora una volta il prossimo anno.
Dobbiamo solo liberarci della paura e la paura, in questo caso, ha un nome ed un cognome.