Anche l’ultimo coriandolo si è posato, l’ultima tromba ha finito di suonare, Stafford si è scolato l’ultima bottiglia di birra e l’ultimo “Whose House” Rams House!” è risuonato per le vie di Los Angeles, cancellando l’incessante “Who Dey” che aveva risuonato per tutta la domenica dentro e fuori lo stadio.
La mente, quindi, è abbastanza fredda per fare qualche considerazione sulla partita, su come i Rams siano arrivati a conquistare il trofeo, sulla stagione e sulle strategie, passate e future.
Comincerei dalla cosa più sconcertante. O, almeno, quella che mi ha lasciato più sconcertato durante la partita: il game plan di Sean McVay. Dopo aver sentito per due settimane che aveva imparato la lezione del Super Bowl LIII, che non si sarebbe fatto imbrigliare senza alternative dal coach avversario, che avrebbe studiato un game plan vario e variabile, da adattare al flusso della partita, cosa mi fa? Mi presenta un piano di gioco quasi interamente basato sulle corse centrali e sui lanci dalla shotgun quando non in empty. Le corse non funzionano, Cooper Kupp è stramarcato, abbiamo Higbee fuori per cui un bloccatore in meno, anche perchè Kendall Blanton si infortuna subito e deve lasciare il posto a Bryce Hopkins, più un ricevitore che un tight end. Meno male che c’è Beckham che sembra in giornata di grazia. Però tutte queste corse centrali mica mi piacciono tanto. Ma come diavolo ha fatto, McVay, a pensare di correre in mezzo contro Cincinnati quando nessuno, o quasi, ci è riuscito quest’anno? E con il nostro gioco di corsa, poi. Mah… misteri. Spero che almeno stia preparando la playaction, che in effetti funziona, ma viene anch’essa subito abbandonata in favore delle corse centrali che guadagnano zero e costringono a giocarsi terzi e lunghi.
Poi arriva l’infortunio di Beckham. Bisognerà cambiare qualcosa. Per forza. E invece no, si continua a correre in mezzo e lanciare la palla con tracce improbabili.
Sono sconcertato. E come me anche i miei vicini di posto. Non riusciamo a capacitarci di un game plan così poco redditizio ma, soprattutto, di come non ci siano cambi di rotta. QUasi che vada bene così.
Poi si arriva al drive decisivo, e finalmente si vede uno spiraglio di luce. McVay esce dall’ipnosi in cui era caduto e stravolge tutti i suoi piani. Niente palla a terra ma palla a Kupp, a qualsiasi costo. Una scelta rischiosa, perchè quando Stafford deve fare qualcosa a qualsiasi costo solitamente lancia la palla agli avversari. Invece questa volta va tutto per il verso giusto e riusciamo a ribaltare il punteggio per poi mantenere la vittoria grazie alla difesa.
Ecco. La difesa. Ho passato una stagione ad insultare Raheem Morris, ma questa volta ha fatto tutto quello che doveva. Tanta pressione su Burrow, spostamento di Donald lungo tutta la linea di difesa per non dare un riferimento certo ai raddoppi della linea, copertura dei ricevitori aggressiva e selvaggia, niente soft zone. Tanto di cappello ad un allenatore che, al momento giusto, ha tirato fuori il meglio dai suoi giocatori. Voglio pensare che gli errori in stagione fossero una via per cercare la soluzione perfetta. Non voglio spiegarmelo in altri modi.
Parlando di difesa non si può non parlare di Aaron Donald, l’assoluto dominatore della linea. Quando la partita è in bilico, ci pensa lui, esattamente come con San Francisco. È come se avesse un pulsante “boost” per le situazioni critiche. Azionato quello, diventa inarrestabile. Basta vedere cosa combina nell’ultimo drive di Cincinnati: un capolavoro da tramandare ai posteri.
Però bisogna parlare anche di Jalen Ramsey, forse l’unico vero sconfitto di questa serata. Morris o sposta dappertutto, non limitandosi a metterlo su Chase, ma questa volta Ramsey non sembra essere in serata. Togliamo il touchdown di Higgins da 75 yard viziato da un face mask. Ma concede un’altra ricezione lunga ad Higgins, due a Chase, e se la pass rush fosse stata meno feroce nell’ultimo gioco della partita, Ramsey si sarebbe fatto bruciare un’altra volta, visto che aveva di nuovo perso Chase.
Ramsey ha disputato una stagione stellare, ma ha toppato la partita più importante. Buon per i Rams che Darious Williams abbia invece fatto una prestazione maiuscola, a dispetto delle ultime, piuttosto pessime.
Ho lasciato per ultima la questione Stafford. Ha messo nel suo personalissimo taccuino un’altra rimonta vincente. Tuttavia non riesco a non pensare che se avesse giocato anche solo leggermente meglio, se non avesse cercato di forzare troppo alcuni passaggi, non avremmo avuto bisogno della rimonta finale, perchè saremmo già entrati nel terzo quarto con un vantaggio più cospicuo.
Si, bravo nelle rimonte, ma quante volte si ritrova a mettere una pezza a situazioni da lui create? Preferisco un quarterback che rimonta meno ma ne vince di più di suo.
Non riesco a farmelo piacere. Ha dato il suo ottimo contributo, questo nessuno lo può negare, ma a mio parere era stato preso per altro e non ha reso quanto ci si aspettasse (parlo per me, ovviamente).
La sfida, adesso, è rimanere su questi livelli, ed il mese che ci separa dalla free agency sarà molto intenso per Snead e compagni.
Il mantra dell’osservatore superficiale dice che perderemo pezzi, abbiamo un sacco di free agent che se ne andranno e non abbiamo nè i soldi per rifirmarli, nè le scelte per rimpiazzarli. Di queste affermazioni, solamente l’ultima è vera. Le scelte alte non le abbiamo. Ne avremo molte nei round medio bassi, ma prenderemo giocatori di secondo piano, sperando di trovare qualche gemma.
Che tanti giocatori diventino free agent è palese. Che non abbiamo i soldi per rifirmarli, è falso. Snead ha già dimostrato di saper fare i conti con il salary cap, tanto da riuscire a fare acquisizioni importanti creando lo spazio salariale per farle.
Abbiamo cinque-sei contratti che, se ristrutturati a dovere, faranno comparire dal nulla quasi 60 milioni sul cap. Lasciamo lavorare Les Snead e vediamo cosa succede. Direi che negli ultimi anni non possiamo lamentarci di come si sia mosso sul mercato.
Insomma, il sole splende alto su Los Angeles. L’All-in ha pagato, ma non solo perchè è arrivato il Lombardi Trophy. Ha pagato perchè ha reso Los Angeles un posto a cui ambiscono ad arrivare i giocatori di razza. Ha pagato perchè si è dimostrato sostenibile negli anni e replicabile nelle stagioni a venire. Ha pagato perchè ha cambiato radicalmente l’atteggiamento di una franchigia che si era adagiata nella propria aura di perdente. Ha pagato perchè ha obbligato tutti a parlarne, ad accorgersi dei Rams, a considerarli una squadra con ambizioni alte.
Niente più “Same Old Lambs”, dunque. Siamo Arieti, non montoni.