La stagione 2022 è terminata da due settimane e mezza, ormai, ed è giunto il tempo di aprire la cella frigorifera, estrarre il cadavere dei Rams ed effettuare l’autopsia. Si, perché i Rams 2022 non sono stati altro che un cadavere galleggiante nel fiume della schedule 2022, che ha continuamente sbattuto negli scogli affioranti fino ad arrivare al delta e buttarsi in mare, per poi prendere il largo nelle acque dell’Oceano Pacifico, arenarsi su una sconosciuta spiaggia di un’isoletta in mezzo all’Oceano e non tornare mai più.
Pensate che l’immagine sia troppo forte? Forse si, ma esemplifica perfettamente la sciagurata stagione 2022 che è passata rapidamente dal “Run it Back” al “Paint it Black”. Cerchiamo, qui, di capirne le ragioni ed analizzare i fatti con il maggiore equilibrio di cui siamo capaci.
Con il senno di poi è facile dire che le prime avvisaglie di una stagione problematica si potevano già intravvedere nella off-season. Tra i tira e molla di Donald e McVay sul “mi ritiro / non mi ritiro”, la decisione di lasciar andare Robert Woods, le dichiarazioni d’amore di Von Miller prontamente rimangiate alla firma di un contrattone con i Bills (Ehi, Von, non ti è andata benissimo, veh?), i capricci di OBJ quando Akers ha deciso di riprendersi la maglia numero 3, Stafford che nn ha lanciato un pallone in tutto il training camp e la solita diaspora di assistant coach verso altri lidi, avremmo dovuto sentire una certa puzza di bruciato, ma anche noi eravamo impegnati a bere vino sul palco come Stafford o urlare nel microfono “Fuck them picks” come Les Snead, a mettere come salvaschermo del nostro telefono l’immagine dei World Champions ed a rimirare l’anello, splendidamente e meravigliosamente pacchiano.
Partiamo dal primo dato inconfutabile che ha direzionato la stagione verso sud fin dalla primissima giornata (anzi, fin dalla preseason): gli infortuni.
Gli infortuni sono una variabile di cui si deve per forza tenere conto, nel football. Su questo non ci piove, come è davanti agli occhi di tutti che lo scorso anno, a parte quello di Robert Woods, siamo stati abbastanza fortunati, sotto questo punto di vista. Infortuni poco gravi o sostituzioni rapide e vincenti (OBJ per Woods), ci hanno permesso di mantenere una squadra solida per tutta la stagione. Questa fortuna l’abbiamo pagata cara quest’anno. Gli uomini di linea offensiva sono caduti come birilli fin dal training camp, con l’infortunio del rookie Logan Bruss, per poi continuare in uno stillicidio continuo fino quasi a fine stagione. Ogni settimana almeno un uomo di linea cadeva infortunato e doveva essere sostituito. Sappiamo bene che il punto debole del roster dei Rams è sempre stata la profondità, ma sfido chiunque a trovare una squadra che si ritrovi a dover mettere in campo la quinta scelta nella depth chart affiancandola ad una quarta e due terze, ed essere ancora competitiva. I Rams hanno messo in campo dodici linee diverse nelle prime dodici giornate: una cosa mai vista. Ed i problemi si sono visti subito: zero spazio per le corse, poche frazioni di secondo per Stafford per lanciare. Con questa premesse un attacco non va da nessuna parte.
Dagli infortuni alla linea in giù è stato come una valanga che cresce man mano che scende a valle e spazza via tutto quello che incontra sul suo cammino. Sono arrivati gli infortuni a Kyren Williams, Troy Hill, Van Jefferson, Jordan Fulton, Coleman Shelton, David Edwards, Grant Haley, Joe Noteboom, Travin Howard, Quentin Lake, Jake Hummel, Chandler Brewer, Alaric Jackson, Cooper Kupp, A’Shawn Robinson, Matt Stafford, Jacob Harriss, Aaron Donald, tanto per citare solo quelli che sono finiti temporaneamente o definitivamente in injured list, e sicuramente ce ne siamo scordati alcuni.
Ma gli infortuni, da soli, non bastano a spiegare una débâcle di queste proporzioni.
Matt Stafford non è mai stato al 100%. Nonostante tutte le rassicurazioni di McVay, che hanno ricordato molto le dichiarazioni ottimisticamente false sul ginocchio di Gurley, il gomito di Stafford non ha mai veramente recuperato dall’operazione eseguita in off season. La sua palla profonda aveva la forza ma non la precisione dello scorso anno quando, comunque, era costata molti intercetti, e la sua palla medio-corta non aveva lo stesso zip né la stessa precisione. Solo la bravura di Kupp, finché è stato in campo, ha mascherato questa regressione del QB. Inoltre ci sono stati diversi problemi di vista. Stafford non vedeva mai Allen Robinson libero sul medio lungo (e dire che era stato acquistato proprio per quello), così come Cam Akers, inizialmente, non vedeva le autostrade che la linea gli apriva (quando gliele apriva, il che avveniva molto di rado, a dire il vero). Se il gioco di passaggio aveva dei problemi, quello di corsa non era da meno. Un Akers irritante, ad inizio stagione, aveva lasciato spazio ad un Darrell Henderson che dimostrava, partita dopo partita, di non essere all’altezza di un ruolo da titolare. Esauriti gli esperimenti Funk ed Jones, rimanevano il cavallo di ritorno Malcolm Brown e poco altro, in attesa del ritorno dall’injured list di Kyren Williams. Solo verso la fine, dopo addirittura un hold out in attesa di cessione, Akers ha iniziato a convincere ed a far venire il dubbio se confermarlo o passare ad altro (la seconda opzione era certa, fino a tre/quattro pertite dalla fine).
Nel reparto ricevitori, Kupp cantava e portava la croce finchè la caviglia reggeva, rivelando il grande vuoto dietro di lui.
Con Stafford infortunato, finalmente ci si rendeva conto che né Wolford né Perkins sono dei backup affidabili, e Snead e McVay non si lasciavano sfuggire la possibilità di prendere Baker Mayfield praticamente a zero. L’innesto di Mayfield è stato uno dei pochi momenti positivi della stagione. Probabilmente non si è guadagnato un posto da titolare, anche perchè i Rams hanno riconfermato Stafford per i prossimi due anni almeno, ma è stato abbastanza positivo da far chiudere la stagione ai Rams in maniera più che dignitosa, regalandoci anche la fantastica rimonta contro i Raiders due giorni dopo la firma. Se vorrà fare il backup, con una grossa possibilità di giocare, vista la salute cagionevole del titolare, credo che Los Angeles potrebbe regalargli delle soddisfazioni.
E la difesa? Per larghi tratti della stagione ha retto la baracca. Donald e Ramsey, pur se bersagliati dalle critiche superficiali di chi guarda solo i numeri, a fine stagione sono risultati tra i top players del loro ruolo, alla faccia di uno che ormai è bollito e non copre più nessuno e dell’altro che non ha più fame dopo aver vinto l’anello e contemplato seriamente il ritiro. La realtà è che uno è stato fortemente penalizzato dalla difesa messa in campo da Raheem Morris, e l’altro, oltre che dagli schemi, anche dalle continue multiple attenzioni riservategli dalle linee offensive avversarie. Ci sta, ovviamente. Quando hai di fronte il difensore più forte della lega e tra i più forti di sempre, non sei così sprovveduto da non dedicargli attenzioni particolari, ma se il tuo coach non mette in campo schemi per cercare di avvantaggiarsi da questa situazione, non è propriamente colpa tua. Così che non è propriamente colpa tua se la difesa gioca a zona, con un cuscino di dieci yard e con delle safety che, vuoi per inesperienza, vuoi per incapacità, non sanno dare supporto alle coperture low high richieste dal genio in sideline.
Piuttosto, un passo indietro lo si è visto dai compari in linea: Gaines, Brown III e Brown IV, Copeland, nessuno di loro è stato capace di prendersi vantaggi dalla doppia o tripla copertura su Donald. Anche qui, però, se tutto quello che il tuo defensive coordinator ti chiama è una bull ruch, non uno stunt, non uno slant, niente che possa prendere in contropiede la linea avversaria, il compito diventa facilmente improbo.
Una nota lieta, ma solo da metà stagione in avanti, quando è stato spostato dalla linea al ruolo di edge, è arrivata da Michael Hoecht, che si è scoperto rusher esterno di grande veemenza e che, una volta corretto il piccolo problema della scarsa attitudine al contain, potrebbe diventare la soluzione al problema edge lasciato dalla partenza di Von Miller.
La secondaria difensiva ha anch’essa subito diversi infortuni che hanno portato a dover schierare molti rookie o terze e quarte scelte nella depth chart. Chiari e scuri dai rookie Kendrick e Durant, ma la prestazione di questo reparto non può prescindere dalla valutazione degli schemi difensivi, perché i DB, più di tutti, sono stati maldestramente esposti ai ricevitori avversari con degli schemi spesso improponibili.
Raheem Morris è il principale responsabile dei problemi che una difesa con questi giocatori non dovrebbe avere. Le performance sotto par della secondaria sono spesso state dovute a quella soft zone di cui abbiamo spesso parlato, prediletta ad una più congeniale difesa a uomo o comunque in press coverage. Non vogliamo certamente sostituirci ad un coach NFL che ne capisce chiaramente più di noi (altrimenti sarebbe lui da questa parte della tastiera a scrivere baggianate), ma la differenza di performance tra i down in soft zone e quelli in press o man coverage è fortemente sbilanciata verso queste ultime e, ad ulteriore testimonianza di ciò, quando l’attacco avversario arrivava in red zone e la soft zone era più difficile da mettere giù, le prestazioni difensive aumentavano di intensità e livello. Fossimo in Morris, qualche domanda ce la faremmo.
Ci siamo dilungati fin troppo su questa autopsia. Sarà un piacere leggere i vostri commenti, che siate d’accordo o meno con quanto scritto.
La prossima volta passeremo all’esame dei correttivi che, a nosttro parere, sarà necessario apportare per tornare ad essere competitivi nel 2023.