Il quindicesimo Thursday Night della stagione metteva di fronte i Seattle Seahawks, a cui la color rush assegnava una divisa color evidenziatore, ed i Los Angeles Rams, che lunedì si erano finalmente liberati della palla al piede di nome Jeff Fisher e sfoggiavano una divisa all-white con il casco con le corna bianche, quello indossato dai “Fearsome Foursome” negli anni ’60 e primi ’70, per intenderci.
Peggior esordio per John Fassell, che avrà l’arduo compito di condurre i Rams dalla sideline per le restanti partite di campionato, non poteva esserci. Il CenturyLink Field di Seattle è uno degli stadi più difficili in cui giocare, ed i Seahawks, oltre ad essere comunque una brutta gatta da pelare, arrivavano dalla netta sconfitta subita a Green Bay, e sicuramente non avevano in mente di concedere alcuno sconto per non rischiare una seconda sconfitta consecutiva. La rivalità divisionale, poi, è sempre sentitissima, e Seattle aveva anche l’occasione di conquistare il titolo divisionale con una vittoria. Aggiungiamoci anche che per Fassell non deve essere stato affatto facile preparare una partita in quattro giorni e tutti gli ingredienti per una brutta sconfitta erano sul tavolo, pronti ad essere mischiati.
Prima della partita arrivava anche la notizia dell’inserimento di Benny Cunningham e Robert Quinn in injury list, che chiudeva la loro stagione e lasciava linea di difesa e reparto runningback (per non parlare del kickoff return team) leggermente scoperti e scarni di rincalzi. Si aggiungeva anche l’esclusione dal roster di Maurice Alexander per la già disastrata secondaria dei Rams, mentre i Seahawks non lamentavano assenze di gran peso.
I Rams iniziavano bene ma non benissimo con un sack, un passaggio per meno due ed un sack, ma la difesa faceva subito capire che, a differenza di quanto avvenuto nelle ultime settimane, stavolta non avrebbe fatto prigionieri, alimentando anche il sospetto che le ultime indecenti prestazioni non fossero del tutto casuali.
Nel secondo drive offensivo, la guardia Jamon Brown si allineava nel backfield a fare da fullback per Gurley, ma nonostante la stazza l’esperimento falliva miseramente, e non sarebbe più stato ripetuto per il resto della partita.
La mano di Fassell nel gameplan offensivo cominciava a farsi vedere nella varietà dei giochi chiamati e, soprattutto, nel coraggio di testare anche il profondo. Peccato che Thomas decidesse di droppare malamente un passaggio di Goff che lo avrebbe liberato per il touchdown dopo che aveva superato anche la safety. Il lancio era leggermente corto, in verità, ma Thomas si faceva rimbalzare la palla tra le mani in maniera piuttosto incredibile.
L’attacco ospite continuava a produrre opportunità, che però puntualmente sprecava, come quando, arrivato sulle sette offensive con un terzo e una, Goff mancava malamente Brian Quick completamente solo in end zone, gettando alle ortiche quello che avrebbe potuto essere il 7-0. Fassell andava per giocarsi il quarto down (si, ora siamo sicuri che Fisher non c’è più), ma dopo il challenge dei Seahawks, gli arbitri annullavano il primo down che inizialmente avevano assegnato sulla corsa di Gurley.
La risposta dei Seahawks era immediata. Wilson cominciava a fare ammattire la difesa dei Rams con i suoi soliti scramble dopo aver trovato Lockette con uno splendido lancio da 30 yard sulla sideline, e tra la fine del primo e l’inizio del secondo quarto scollinava 93 yard per trovare in touchdown il suo quasi omonimo Willson per i primi sette punti della serata.
I Rams accusavano il colpo, ma tentavano la fortuna con una finta di punt sulle loro trenta. Il braccio solitamente preciso di Hekker questa volta diventava improvvisamente gelatinoso, ed il pallone cadeva ad una buona yard di distanza da un Thomas tutto solo sulla linea del primo down.
Seattle ne approfittava immediatamente, anche se la difesa di Los Angeles limitava i danni ad un field goal di Hauschka.
Il primo tempo si chiudeva dopo una serie di punt con un field goal di Zuerlein che accorciava le distanze.
Al rientro in campo Seatle non riusciva a sfruttare il possesso palla, ma l’attacco dei Rams iniziava poco poco ad implodere, ed al secondo drive offensivo Wilson riusciva a trovare l’end zone con un passaggio da una yard per Baldwin, che si liberava di Troy Hill con una doppia mossa sulla linea di scrimmage e si faceva trovare completamente solo nell’angolo sinistro della end zone.
I Rams si stavano poco a poco sgretolando. Sembravano riuscire a restare in partita grazie alla difesa, ma l’apporto dell’attacco era pari a zero, e Seattle scappava poco alla volta. Dopo l’ennesimo three and out dei Rams, Wilson trovava nuovamente Lockette sul profondo per un touchdown da 57 yard che chiudeva definitivamente l’incontro. Sul 24-3 la partita non aveva più nulla da dire, ma si infiammava per alcune azioni particolarmente significative.
Michael Bennett si trasformava nella “Cosa” dei Fantastici Quattro quando si liberava del blocco di Higbee scaraventandolo letteralmente via per poi andare a placcare Gurley. Il placcaggio era piuttosto bizzarro, e Bennett doveva lasciare il campo per sospetto trauma cranico.
Poco dopo toccava a Jared Goff imparare sulla propria pelle che sotto di 21 punti non è necessario per un quarterback combattere per una yard in più. Andato in scramble verso la sideline, Goff cercava di lanciarsi per andare a segnare, anche se dalla sua posizione sembrava ancora lontano dalla goal line. Richard Sherman non era d’accordo ed arrivava come un treno rifilandogli un colpo tremendo. Goff si rialzava ma l’arbitro richiamava la panchina dei Rams imponendo un controllo sul numero sedici che, dopo una botta del genere, oltre a non sapere da che parte sorge il sole non sapeva nemmeno più dove si trovasse e che ora fosse.
Il “sacrificio”, inoltre, sarebbe stato anche inutile, perché anche nel caso Goff fosse riuscito a segnare, l’azione sarebbe stata vanificata dal solito holding offensivo.
Il circo non era ancora finito, però. Nonostante fosse avanti di 21 punti nel finale di partita, Carroll decideva di giocarsi una finta di punt che prendeva totalmente in contropiede lo special team di Los Angeles. Ryan esegue perfettamente la finta e si getta a capofitto nell’autostrada che la linea gli apre nel mezzo. Lo stile di corsa non è dei migliori, come non lo è nemmeno la tecnica con cui porta la palla, che infatti gli scivola dalle mani come una saponetta in una doccia. Mai chinarsi a raccogliere le saponette nelle docce… Ora Ryan sa anche questo, perché mentre cerca di rimediare al proprio fumble, Ryan viene investito da un camion a tutta velocità della ditta “Troy Hill Concussion Delivery Inc.”. Ryan stramazza a terra semisvenuto mentre un suo compagno recupera l’ovale. In tutto questo spicca il genio di Carroll, che non trova altro di meglio da fare che esultare per la riuscita del trick play mentre il suo punter è ancora a terra che cerca di contare le dita del medico che lo assiste.
Fuori Goff, per i Rams rientra Case Keenum che, immaginiamo, avrà la smania di dimostrare che il suo panchinamento fu ingiusto ed affrettato. Bastano però un paio di azioni per ricordare a tutti perché nelle ultime settimane giocava Goff.
L’unica cosa degna di nota prima della fine della partita è l’intercetto sulla goal line ad opera di Alec Ogletree, che salva un touchdown quasi certo e sporca leggermente l’ottima giornata di Russel Wilson (19/26 per 229 yard 3 TD e 1 intercetto).
I Seahawks si aggiungono quindi ai Cowboys come squadra già qualificata ai playoff, e possono cominciare a prepararsi per la post season. Tutto sommato una prestazione ordinaria, quella di Seattle, che ha subito un po’ solo all’inizio la difesa dei Rams. Solo due sack subiti da Wilson sono un’ottima prestazione, se consideriamo che il quarterback da Wisconsin è il bersaglio preferito della linea di difesa dei Rams. Nessuno, tra le avversarie divisionali, soprattutto, ha messo a terra Wilson più volte del front seven di Los Angeles.
I Rams, invece, hanno ancora una volta palesato gli enormi limiti di un attacco che commette penalità, fumble e drop in quantità industriale, rendendo problematico il lavoro della difesa, che si trova spesso a dover far fronte a situazioni di campo mai troppo agevoli. I problemi di Los Angeles sono molteplici, e nessuno pensava seriamente che sarebbe bastato cambiare l’head coach, per di più a quattro giorni da una partita, per risolverli. Occorreva però fare un primo passo e dare un segnale non solo alla fanbase, ma anche ai giocatori stessi, che ancora non hanno certezze di rivestire la maglia bluoro per la prossima stagione.