Dopo la seconda batosta contro i rivali di sempre, Gianca16 fa il punto della situazione da tifoso deluso.
In fondo anche l’anno scorso dai 49ers le abbiamo beccate tutte e due le volte (e invece poi al Championship…), in fondo sono quattro anni che in regular season da loro le bec-chiamo regolarmente e malamente e Shanahan uccella McVay come un tordo, in fondo Jimmy Garoppolo tutte le volte che di là vede le nostre maglie sembra che venga visitato dallo spirito di Joe Montana, e in fondo anche l’anno scorso a fine novembre chi l’avrebbe mai detto che… ma stavolta – e spero proprio di sbagliarmi – ma stavolta mi sa che è diverso.
Stavolta nello strapiombo ci siamo finiti dentro per davvero. No, non ci siamo mica fer-mati sull’orlo dell’abisso quell’attimo prima, a soffermarlo con lo sguardo atterrito, per poi ripartire più carichi e vincenti. Questa disfatta non assomiglia per niente a quei tur-ning-point positivi, quelli duri ma benefici, che insegnano, che dopo risolvono la stagio-ne.
L’immagine – sono sempre le immagini che ci parlano, più delle parole – l’immagine più significativa, eloquente, visiva, è la maschera di sofferenza, labbra e occhi contratti at-traverso la facemask, di Cooper Kupp, mandato in campo da McVay a 1.43 della fine per un’azione completamente inutile, al quale i 49ers non vedevano l’ora di potergli girare una caviglia.
È andata così: tenendo fede alla improrogabile legge di Murphy per cui tutto quello che poteva andare male è andato peggio. La linea d’attacco, già un po’ traballante per ritiri e partenze, si è sgretolata subito come un castello di sabbia bagnata. La difesa, che l’anno scorso si era rigenerata con l’arrivo di Von Miller, non ha ricevuto lo stesso effetto salvi-fico dalla presenza di Bobby Wagner. Allen Robinson doveva addirittura rubare palloni a Kupp, migliorando ancora di più l’attacco aereo… lasciamo perdere.
Però – a mio avviso – quello che veramente ci è mancato è stato… il manico. Il coman-dante in capo. E già, il pesce puzza sempre dalla testa, lo sappiamo.
Vincere un SuperBowl, oltre a tutto il resto, per McVay è stata anche la consacrazione delle sue idee, della sua autostima, del suo narcisismo; lo ha reso ancora più certo di sé, più convinto di essere infallibile.
Ora, va bene la linea azzoppata, va bene la non brillantissima condizione di Cam Akers, va bene il playbook pass-oriented e la passione per i big play, ma pur una squadra demo-tivata come i Carolina Phanters, ieri sera contro Atlanta, ha dato segni di vita dopo aver rischiato il tracollo. Perché si è adattata con quello che aveva, o con quello che le è rima-sto, fate voi.
E noi?
Noi – contro i 49ers – abbiamo corso 43 misere yards. 43. Questo non è football. Non si può pensare di giocare una intera partita ottenendo, quando va bene, una yard a portata. E il più delle volte erano corse in negativo. Così non funziona niente. Non può funziona-re. Quando c’era Kurt Warner – sempre sia lodato – alcuni analisti erano arrivati a scri-vere che il nostro era un attacco troppo sbilanciato sui passaggi, che ci metteva troppo poco tempo ad arrivare in end-zone, e alla lunga avrebbe sfiancato la difesa, facendola giocare troppi minuti. Lui lanciava più di 300 yds a partita, ma se ne correvano ben più di 100.
Garoppolo – per fare un altro esempio – ieri sera ha completato l’83% dei passaggi, per-ché è un fenomeno? No. Perché alla fine aveva sempre un ricevitore libero. La sua linea teneva, lui da bravo leggeva le progressioni, e alla fine trovava un giocatore separato dal difensore. Passaggino neanche tanto difficile e… voilà. Semplice, no? Ma può accadere solo se la difesa è disposta e impegnata anche a proteggere le corse.
La realtà attuale è che noi non abbiamo un gioco di corse, cioè il nostro allenatore-capo, con quello che ha a disposizione, dopo sette partite, non è ancora stato in grado di imba-stire un gioco di corsa. Si inventa Skoronek fullback per sbilanciare le difese… sai che ri-sultato. Manda in profondità, un gioco a partita (ieri sera nemmeno quella singola volta) un giocatore sottodimensionato come Tutu Atwell, chiama la jetsweep della speranza… Ma con quello che ha nel back, ci fa guadagnare 43 yds a partita. Troppo poco. Eh, ma non è colpa sua, dice qualcuno. Non lo so mica…
Pensatela pure come volete, ma anche la attuale querelle tra McVay e Cam Akers a me ricorda tanto quella di due anni fa con Jared Goff: prima sono i suoi giocatori preferiti, li osanna in conferenza stampa, sulla sideline in favore di telecamera li corre ad abbrac-ciare, poi di colpo non vanno più bene. Non li sopporta più. Perché? Lui ci racconta che non fanno quello che vuole, cioè non sono in grado di fare bene i giochi perfetti che lui disegna proprio per loro, e in un colpo di bacchetta magica diventano i suoi nemici giu-rati. E allora, via, tagliare. Ma loro, però, lasciano intendere che quello che vuole, in quel modo, non può funzionare.
Lo sapevamo (lo abbiamo anche scritto a fine agosto), la stagione post-SuperBowl sareb-be stata dura, durissima: le partenze, il calendario impossibile, le motivazioni che dopo il gran successo un po’ sfumano, i compensi da favola per gli artefici della vittoria, i po-chi soldi rimasti per il salary cap e le scelte scambiate, ma con 7 posti a disposizione nessuno pensava di poter saltare i Playoff. E invece…
Sì, mancano ancora 10 partite, può succedere di tutto.
McVay è un genio, lo dicono tutti. Il più giovane allenatore ad aver vinto un SuperBowl. L’inventore di un gioco straordinariamente innovativo. L’uomo della Provvidenza. Ma a me sembra anche un tipo un po’ troppo testardo. Il football, lo sappiamo, può essere comparato al procedimento scientifico: si intuisce un’ipotesi (la chiamata), la si testa sperimentalmente (sulla linea di scrimmage), funziona, non funziona, è ripetibile? Si impara anche dagli errori. Si cresce. Normalmente si procede così.
In casa Rams-McVay invece troppo spesso se qualcosa non va come lui l’ha prevista, il genio insiste, perché se è una sua idea deve funzionare. Se l’esperimento non dà il risul-tato ci deve essere qualcosa che non va nell’esperimento. Se il buco centrale non si apre, continuiamo pure a chiamare il buco centrale. E c’è pure un altro problema, la gestione dei suoi talenti. Vi ricordate con Todd Gurley? Alla fine? Quando MvVay continuava a ri-petere che il ginocchio era sanissimo, che il running-back stava benissimo, e come lo utilizzava erano solo scelte tecniche? Lo mandava in campo nella parte decisiva della partita col contagocce (anzi, a volte se ne dimenticava proprio…) e poi lo chiamava a giocare a partita risolta?
L’infortunio alla caviglia di Kupp non è sfortuna. È assenza di logica. Di progettualità. Di pianificazione. È voler dimostrare chissà cosa, mettendo così a repentaglio l’arma più af-filata di tutto l’attacco. È, in due parole, follia pura. Quella chiamata non è un errore. È molto di più. È mancanza di lucidità e presenza nella partita, che dovrebbe essere la prima caratteristica di un capo-allenatore. E non è la prima volta che accade.
In un’altra NFL, meno contrattualizzata, meno garantita, quanti allenatori sarebbero so-pravvissuti a un assurdo del genere?
È una stagiona strana, se ne sono accorti tutti. Nella NFC, delle quattro vincitrici di Di-vision dell’anno scorso, tre sono sotto il cinquanta per cento e a rischio postseason. Phi-ladelphia è imbattuta. Brady, abbandonato da Gisele non sa più a chi lanciare. E Rogers dopo aver provato l’ayahuasca non ritrova più se stesso. Ma io credo, anche con l’attuale squadra a disposizione, si sarebbe comunque potuto fare di più. Almeno provarci. Ieri sera sulla goal line di san Francisco siamo entrati con una corsa zoppicata di Stafford… perché altrimenti non si passava.
Noi, tifosi di fede incrollabile, saremo sempre là a vedere cosa succederà… ma lasciateci almeno raccontare le nostre idee ed esprimere le nostre simpatie (e antipatie).