Un calcio del rookie Karty a due secondi dalla fine ha deciso la sfida tra 49ers e Rams nella maniera più rocambolesca possibile, dopo che San Francisco aveva condotto le danze per tutto il tempo ed era sempre stata avanti nel punteggio (o almeno pari) per 59 minuti e 58 secondi.
Le premesse non erano molto confortanti per quanto riguardava lo spettacolo, perchè con le injury list delle due squadre si sarebbero potuti schierare 11 giocatori per parte e dar vista ad un ipotetico Injury Bowl. Le liste non erano solo importanti dal punto di vista numerico, ma anche da quello qualitativo: Fuori Deebo Samuel, Christian McCaffrey e George Kittle (tra gli altri) da una parte, Cooper Kupp, Puka Nacua, John Johnson III e tre quinti della linea d’attacco dall’altra, era l’occasione giusta per le seconde linee di mettersi in mostra e dare il proprio contributo alla squadra, cosa che è più o meno regolarmente avvenuta.
Inizialmente erano i 49ers a patire meno (o almeno così sembrava) le grandi assenze, perchè con un Mason che guadagnava quasi 5 yard a corsa e un Purdy che aveva una vita e mezza per stare dietro la protezione della tasca per poi trovare comodamente uno scatenato Jejuan Jennings, non si vedeva come la secondaria dei Rams avrebbe potuto fermare l’attacco aereo dei cugini del nord e, di conseguenza, opporsi a quello che sembrava essere un massacro annunciato. Due drive e 14 punti segnati per San Francisco nel primo quarto e altrettanti three and out per i Rams sembravano indirizzare la partita verso un monologo in maglia rossa, ma già lo svolgimento del secondo drive avrebbe dovuto accendere qualche campanello d’allarme in casa 49ers.
Per ben tre volte, infatti, la difesa dei Rams riusciva a fermare l’attacco avversario al terzo down, ma per tre volte arrivava una provvidenziale flag a regalare il primo down annullando gli incompleti di Purdy e permettendo di mantenere vivo il drive che avrebbe poi portato al 14-0.
I Rams sembravano spersi. In attacco non completavano un passaggio e le corse si infrangevano sul front seven avversario, e ad ogni azione sembrava che San Francisco avesse almeno 15 o 16 uomini in campo: alla marea di maglie rosse che portavano pressione su Stafford, faceva da contraltare l’altra marea di maglie rosse che occupava strategicamente ogni centimetro quadrato del backfield difensivo dando l’impressione di avere almeno due uomini su ogni ricevitore. In difesa la pass rush era piuttosto inefficace, e le marcature dei ricevitori lo erano ancor di più, con ampi spazi lasciati ad un Jennings che, in giornata di grazia, oltre a ricevere palloni in solitaria riusciva anche in alcune prese da circo acrobatico che avrebbero demoralizzato qualsiasi defensive back.
McVay e Shula, però, predicavano calma e portavano correttivi importanti. In attacco si passava dal personale 11 al personale 12 per dare una mano alla linea che stava subendo in maniera pesante l’impatto del front seven avversario. In difesa, invece, una volta capito che la strategia di mandare tre in pass rush e dropparne otto in copertura non dava i risultati attesi, Shula sceglieva di giocare una zona aggressiva e mandare dentro qualche linebacker in più a mettere pressione. Con tutti i limiti dei rookie (Verse e Fiske) ed i quasi rookie (Young) che si ostinavano a prendere pessimi angoli di penetrazione perdendo il contain laterale o finendo per inseguire Purdy nelle sue scorribande dietro la linea di scrimmage, pian piano la difesa di casa riusciva ad imbrigliare l’attacco avversario e ridurre i danni ad un solo touchdown in apertura di terzo quarto ed un field goal nel finale di partita.
Sul fronte opposto, invece, l’attacco iniziava a dare qualche segno di difficoltà. Ad eccezione di Jennings, gli altri ricevitori non erano certo d’aiuto. Ayiuk sembrava non pervenuto, tanto che persino Purdy non si avvedeva di lui in un’occasione in cui avrebbe potuto ricevere un pallone profondo in piena libertà. Bell si dava da fare per vincere il titolo di miglior droppatore di palloni della partita (pesantissimo il drop nel finale di partita su un terzo down che avrebbe chiuso i conti) totalizzando due dei sei palloni persi malamente dai ricevitori di San Francisco.
Più ancora dell’attacco, era la difesa a cedere in maniera decisiva per San Francisco. McVay faceva ricorso alle pagine più nascoste del proprio playbook, prima chiamando una finta di punt con seguente conversione del quarto down che cambiava l’inerzia della partita, poi mandava addirittura Tutu Atwell al lancio che falliva davvero per pochissimo, ma era chiaro che il punto debole era diventata la secondaria difensiva, che lasciava fin troppo spazio ai ricevitori dei Rams. Atwell su tutti, con la sua velocità, prendeva in contropiede i difensori avversari e, quando non riceveva, si procurava interferenze decisive, così come Colby Parkinson. Una volta trovato il grimaldello per scardinare la difesa di San Francisco, Los Angeles doveva solo fare in modo di dare a Stafford la possibilità di lanciare tracce lunghe, e allora arrivavano il doppio tight end con running back a bloccare, oppure i lanci in sprint out per togliersi dal traffico.
La tattica risultava vincente, ed i Rams prima si portavano a meno sette punti e poi, sfruttando l’errore di Moody da 55 yard, andavano a pareggiare i conti con Kyren Williams, autore di una tripletta come Jennings. Ma non era finita: il drop di Bell di cui parlavamo prima forzava San Francisco al punt, ed il ritorno del rookie Xavier Smith era di quelli importanti: 40 yard che mettevano i Rams in posizione per vincere la partita con il field goal di Karty.
Se McVay può essere contento della vittoria, sa comunque che c’è molto da lavorare, perchè gli infortunati non rientreranno tanto presto, e bisognerà prendere il massimo dalle partite con Chicago e Washington prima del bye.
Nella baia, invece, il pericolo è che questa sconfitta lasci strascichi pesanti dal punto di vista psicologico, viste le parole di Shanahan in conferenza stampa post partita.