L’analisi del draft 2014

Togliamoci pure il dente subito: no, non siamo affatto delusi dalla mancata scelta di un ricevitore da parte dei Rams al draft dello scorso weekend. E non lo siamo nemmeno dopo aver appreso che la notizia della sospensione di Bailey era conosciuta dal front office da almeno un mese.

I Rams hanno abbandonato la folle corsa alla trade che aveva caratterizzato i draft 2012 e 2013, prediligendo una scelta oculata dei giocatori alternando la soddisfazione delle necessità primarie e la possibilità di cogliere al volo delle occasioni d’oro prendendo giocatori molto quotati nonostante ci fossero altre priorità da soddisfare.
Giudicare un draft oggi sul valore dei giocatori scelti significa dichiararsi maghi e fattucchieri professionisti con la capacità di vedere quanto succederà da qui a tre/quattro anni, per cui possiamo parlare solamente della strategia seguita e del potenziale degli atleti selezionati, provando ad entrare nella testa di Fisher e Snead per capire cosa abbia indotto la coppia a scegliere un giocatore piuttosto che un altro.
In linea di principio questo draft ci è piaciuto moltissimo, proprio perché, a differenza degli altri anni, si sono intraviste sia una precisa strategia, che magari gli scorsi anni si faticava ad individuare, sia perché le scelte effettuate hanno chiaramente indicato la strada che i Rams hanno intrapreso per questa stagione.
Già dalla prima scelta, caduta sull’offensive lineman Greg Robinson, il messaggio è stato chiaro: i Rams quest’anno correranno la palla, e cercheranno di sfruttare una linea d’attacco che si preannuncia agile ma potente. Robinson probabilmente partirà guardia, opposto a quel Roger Saffold che proprio in quel ruolo lo scorso anno sembrava aver trovato la sua posizione ideale. Con Long e Robinson da una parte e Saffold e Barksdale dall’altra, il gioco di corsa dei Rams sembra poter garantire una certa affidabilità, ed anche la scelta di Tre Mason semba andare in questa direzione, dando a Stacy un backup di buona caratura da affiancare a Cunningham, con buona pace sia di Pead che di Richardson.

La scelta di Aaron Donald al numero tredici è uno dei colpi assoluti di questo draft. Per stessa ammissione di Fisher, non ci si aspettava di averlo ancora disponibile dopo dodici scelte, e lasciarlo passare sarebbe stato un errore che nelle scorse stagioni è stato commesso fin troppe volte. Questa volta la strategia del “Best Player Available” è stata seguita alla lettera, e l’aggiunta di Donald alla già potente linea di difesa promette di portare scompiglio nei backfield offensivi avversari. Con Long e Quinn ai lati, Langford e Brockers all’interno, Donald potrà passare questo primo anno a sgrezzarsi ed imparare il gioco dei pro dai migliori, per prendersi poi il posto da titolare il prossimo anno, quando probabilmente Langford lascerà St.Louis. E non è escluso che gli faccia le scarpe prima, visto il potenziale di questo atleta.
A questa linea difensiva si aggiunge anche Michael Sam, il giocatore per il quale i Rams sono andati in prima pagina sui media di tutto il mondo. I Rams non sono stati i primi ad ingaggiare un giocatore di colore nella NFL come letto un po’ dappertutto. Fritz Pollard giocava negli Akron Pros quando i Rams ancora non esistevano: correva l’anno 1921. Poi ci fu un divieto più o meno ufficiale di ingaggiare giocatori di colore che durò una ventina d’anno o poco meno, finchè i Rams, trasferitisi a Los Angeles, non ingaggiarono Kenny Washington nel 1946. I Rams però sono i primi ad avere tra le proprie fila un giocatore dichiaratamente gay, dopo aver scelto Michael Sam con la terz’ultima scelta del draft.
In realtà poco ci interessa di questa parte della storia. Siamo più interessati a vedere come si ambienterà e se dimostrerà anche tra i pro le buone cose fatte vedere al College. Probabilmente verrà utilizzato come linebacker, piuttosto che come Defensive End, un po’ per la feroce concorrenza bnel ruolo, ma anche e soprattutto perché Sam è leggermente sottodimensionato per affrontare i tackle da oltre trecento libbre che oramai sono la norma in NFL.
Un’altra cosa che ci interessa be poco è la storia di Maurice Alexander. Del fatto che abbia fatto l’uomo delle pulizie all’Ed Jones Dome durante l’anno di sospensione dal College, ce ne curiamo il giusto. Lo prendiamo come nota di colore e nulla più. Quello che ci interessa di più è sapere che a Utah State ha mostrato ottime qualità e che può giocare sia strong safety che free safety, ed è (sempre, ovviamente, sulla carta) un’ottima scelta per rimpolpare un reparto in grossa crisi di talento e di materiale umano. Inoltre, la memoria corta di molti fa dimenticare che prima di essere ripreso ai Rams, un certo Kurt Warner impacchettava la spesa in un supermercato dell’Iowa. Se il seguito della storia sarà il medesimo anche solo per metà per Alexander, saremo felicissimi.
Sempre parlando di defensive backs, sembra promettere bene anche la scelta di Lamarcus Joyner, che dovrebbe essere, nelle intenzioni di Fisher, il nickel back di riferimento per la prossima stagione. Chiaramente sottodimensionato per essere usato all’esterno contro i ricevitori alti, Joyner potrà venir buono sia per gli slot sia per essere fiondato in blitz, azione che al college prediligeva.
Un mezzo punto interrogativo lo lascia forse la scelta del quarterback, che ha fatto storcere il naso a molti e viene considerato l’unico punto non proprio positivo del draft dei Rams.
Sinceramente non siamo molto d’accordo, e spieghiamo subito il perché. Garrett Gilbert non era certamente il miglior quarterback disponibile tra i draftabili, ma è parso chiaro sin dall’inizio che i Rams non avrebbero draftato un potenziale starter già da quest’anno. La strategia appare chiara: Bradford è il titolare, Hill la riserva ed il quarterback draftato è il prospetto da far crescer quest’anno. Prendere anche solo un McCarron, senza scomodare i Bortles, i Bridgewater ed i Manziel, avrebbe significato creare sin da subito una quarterback controversy che Fisher ha chiaramente ribadito più volte di non volere, almeno allo stato attuale delle cose. Gilbert sarà sicuramente utile nel 2015, quando Bradford sarà in odore di rinnovo, Hill probabilmente non ci sarà più (il suo contratto è di un solo anno) ed allora la situazione potrebbe cambiare radicalmente.
Sulle qualità di Gilbert non saremmo nemmeno così negativi come buona parte dell’opinione generale di tifosi ed addetti ai lavori. Gilbert viene ricordato soprattutto per il BCS Championship 2009 in cui sostituì Colt McCoy lanciando quattro intercetti e perdendo un fumble, ed anche per la stagione successiva quando, con lui titolare, i Longhorns finirono 5-7, la prima stagione perdente dopo 13 anni. Gilbert era il quarterback di una delle peggiori squadre di Texas degli ultimi decenni e venne erto a capro espiatorio della stagione fallimentare abbastanza in fretta (il fatto che quest'anno nessun giocatore di texas sia stato draftato per la prima volta dal 1937 dovrebbe dare da pensare sulla qualità di quella squadra). Nei due anni a Southern Methodist sotto June Jones Gilbert si è ampiamente riscattato e credo sia stato troppo frettolosamente liquidato come una scartina.
Per il resto delle scelte, Gaines e Bryants confermano la tendenza di quest'anno di draftare defensive backs piccoli ed agili, più adatti a coprire i ricevitori interni ma soprattutto più orientati verso la difesa sulle corse, vera spina nel fianco del backfield difensivo dello scorso anno.
Van Dyk e Rhaney daranno profondità alla linea offensiva durante il training camp ma, a meno di clamorose sorprese, appaiono destinati alla practice squad, in attesa di fare il grande salto nella prossima stagione o, in caso di necessità (facciamo gli scongiuri), a riempire i vuoti lasciati da eventuali infortuni.
Insomma, non vogliamo dare voti, ma siamo decisamente soddisfatti dal draft 2014 dei Rams.
 

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