Per accompagnarvi in questa lunghissima off-season, pubblichiamo il primo di una serie di articoli, a cadenza più o meno settimanale, che passeranno in rassegna la stagione 2013 dei nostri amati Rams. Ogni articolo prenderà in esame un reparto specifico analizzandone le prestazioni. Quello di oggi vuole essere un riepilogo generale prima di addentrarci nelle analisi specifiche ruolo per ruolo.
La stagione 2013, inutile negarlo, era iniziata con molte aspettative. L’ottima difesa vista nel 2012 unita alla buona infornata di rookie ed alle speranze legate alla crescita di Sam Bradford, al secondo anno con il medesimo sistema di gioco ed il medesimo offensive coordinator, lasciavano intravvedere una stagione finalmente con record vincente e, se le cose fossero girate per il verso giusto, la concreta possibilità di giocarsi un posto ai playoff. Del resto nel 2012 eravamo arrivati davvero vicini al record in pareggio.
Se guardiamo il risultato finale di sette vittorie e nove sconfitte, non è poi così lontano da quello dello scorso anno (7-8-1), e considerando che abbiamo perso per strada il nostro quarterback titolare, alla fine può essere considerato positivo, ma è chiaro ed evidente a tutti che la stagione non è andata proprio come ci si attendeva, e non solo a causa dell’infortunio a Bradford.
Non è semplice dire cosa sia andato storto, ma almeno all’inizio della stagione sembrava che nulla, proprio nulla funzionasse come sperato, dovuto e voluto.
Analizzando le prime quattro partite della stagione, nemmeno la vittoria inaugurale in rimonta contro i Cardinals e la sconfitta della domenica successiva contro i Falcons, nella quale la rimonta non andò a buon fine, possono essere considerate delle buone partite. La squadra aveva infatti denotato fin da subito i grossi problemi che sarebbero poi definitivamente esplosi contro Dallas e, soprattutto, San Francisco.
La difesa mostrava una preoccupantissima involuzione, con una secondaria inefficace (orribile l’inizio di stagione di Finnegan) grazie anche ad un pessimo schema di copertura che prevedeva un cuscino di dieci yards tra cornerback e ricevitori, ed un pacchetto di linebacker che pagava la sospensione di Dunbar e l’inesperienza di Ogletree, finendo per essere sovrastato dal gioco di corsa avversario (176 yards per DeMarco Murray e 153 per Gore nelle due sconfitte con Dallas e San Francisco).
L’attacco faticava parecchio, e la coppia Richardson/Pead si dimostrava assolutamente inefficace nella sostituzione di Steven Jackson sulle corse. Spostato tutto il peso dell’attacco sul gioco aereo, Bradford si trovava a tentare 50 passaggi a partita contro difese che, non avendo nulla da temere a terra, sovraccaricavano la secondaria in copertura, azzerando le possibilità sul profondo, già limitate dal bizzarro playcalling di Schottenheimer.
A tutto questo si aggiungeva un’indole masochista che portava i Rams a commettere un numero spropositato di penalità, quasi sempre decisive per prolungare i drive avversari o bloccare i propri, quando non annullavano direttamente l’ottimo lavoro dei ritornatori. Il solo Tavon Austin, da tutti atteso per le sue doti di velocista, si ritrovava con ben 200 yards di ritorno annullate per falli, oltre ad un paio di touchdown non convalidati per lo stesso motivo.
Andremo più nel dettaglio con i singoli negli articoli specifici per ruolo. In questa sede ci basta ricordare come dalla quinta settimana la squadra sembrò finalmente svoltare. Archiviato l’esperimento Richardson/Pead, con quest’ultimo addirittura dichiarato inattivo per diverse partite, i Rams mandavano in campo il rookie Zac Stacy da Vanderbilt, ed il miglioramento era netto ed evidente.
Stacy finirà a sole 23 yards dal tetto delle 1000 guadagnate in stagione, secondo dietro al solo Eddie Lacy tra o rookie NFL 2013 e terzo di sempre dietro ai mostri sacri Dickerson e Bettis tra i rookie dei Rams.
Con un gioco di corsa finalmente degno di questo nome, anche il gioco aereo ne trae vantaggio, e grazie anche ad un miglioramento della linea offensiva e all’adattamento del playbook da parte di Schottenheimer, che finalmente sistema le tracce dei ricevitori in modo da sfruttarne la velocità e l’esplosività, i Rams risalgono lentamente la china. In difesa rientra Dunbar e Ogletree migliora di partita in partita, mentre un infortunio a Finnegan promuove Trumaine Johnson titolare, e la secondaria ci guadagna in affidabilità.
Arrivano due convincenti vittorie contro Jacksonville e Houston, ma alla settima giornata una nuova mazzata si abbatte su St.Louis. Durante una tiratissima partita contro i Carolina Panthers, Sam Bradford si rompe i legamenti del ginocchio a seguito di una spinta decisamente inutile di un DB di Carolina quando già stava uscendo dal campo. Stagione finita per lui e, tutti pensano, anche per i Rams.
Kellen Clemens, come già due anni fa in occasione di un altro infortunio di Bradford, sostituisce Sam in cabina di regia e, a dispetto di tutti i pronostici (compresi i nostri, bisogna ammetterlo), conduce la squadra ad un finale di stagione tutto sommato positivo.
Dopo la settimana di pausa Clemens disputa una splendida partita nel Monday night contro Seattle, nel quale i Rams sfiorano l’impresa, e dopo un’altra sconfitta di misura contro i Titans, i Rams annientano in successione Indianapolis e Chicago, andando a perdere poi con onore a San Francisco e malamente in casa degli Arizona Cardinals.
La stagione termina con due vittorie contro New Orleans e Tampa Bay e l’ormai solita sconfitta all’ultima giornata contro i Seahawks.
Nella seconda parte di stagione la difesa si è assestata su livelli di eccellenza, piazzando Robert Quinn al secondo posto per solo mezzo sack nella classifica dei placcaggi al quarterback, diventando nuovamente la colonna portante della squadra. Inutile nascondere il fatto che, dopo aver “consigliato” al defensive coordinator Tim Walton di cambiare lo schema difensivo, Jeff Fisher abbia personalmente preso le redini del reparto difensivo, di fatto esautorando il proprio coordinatore difensivo.
In attacco si sono viste finalmente le qualità di Austin e, soprattutto, Stedman Bailey, che ha disputato un finale di stagione in crescendo, mentre nella maggior parte delle ultime 12 partite le penalità sono state mantenute a livelli accettabili (con le dovute eccezioni).
Gli aggiustamenti apportati dopo la partita orribile contro i Niners hanno sicuramente portato i loro frutti. Spiace non aver “scoperto” prima Zac Stacy, ma a onor del vero bisogna dire che con la pessima linea d’attacco sulle corse vista nelle prime quattro partite, crediamo che anche un mostro sacro come Steven Jackson avrebbe avuto i suoi bei problemi a trovare varchi in cui correre. Così come ci sono volute quattro partite, ma l’eliminazione del terribile schema difensivo sui passaggi (soprannominato TCOD – Terrible Cushion of Death per l’ampio spazio concesso ai ricevitori avversari dai cornerback) è stata una mossa decisiva per il miglioramento del reparto arretrato.
Alla fine, quindi, una stagione non tutta da buttare, che sebbene si sia sviluppata in maniera molto differente da quanto si sperava potesse accadere, ha comunque rafforzato l’ottimismo per il futuro, dimostrando che non tutto è da buttare, ed il programma di Fisher e Snead procede verso l’obiettivo prefissato. Magari con qualche scossone e prendendo qualche buca di troppo, ma l’autobus degli arieti è sulla strada giusta.